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LA SCUOLA PUBBLICA SOTTO ATTACCO

una ricerca per capire dove sta andando la scuola
a cura di Valentina Da Rold

 
 

PREMESSA

Ho pensato che dedicare un approfondimento a questo tema fosse utile anche per i dipendenti della Luxottica che, in quanto cittadini, hanno il diritto ed il dovere di essere informati. Con tutto ciò che vi gira intorno in termini di potere e di affari, la scuola non è solo alunni, famiglie ed insegnanti. Tutti costoro, nella quasi generalità, non sanno cosa accade davvero. La scuola è soprattutto la sua gestione ministeriale, politica, sindacale, universitaria.

 

Le scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato capitalistico e, come tutte le aziende, entreranno in concorrenza le une con le altre per attirare i loro clienti: gli studenti. A questo scopo serve un sistema statale di buoni scuola emessi all’ordine dei genitori di un figlio in età scolare, buoni che potranno essere spesi in una scuola a scelta delle famiglie degli studenti, anche private e/o confessionali”(1955).
Milton Friedman  (nobel per l'Economia 1976)



Dai primi anni '90  l'economia e la finanza hanno aumentato considerevolmente il loro peso nella direzione politica del mondo occidentale. La politica in senso stretto ha sempre meno margini di mediazione. E' quindi dalle scelte di economisti, imprenditori, finanzieri e manager che occorre partire per capire cosa si progetta per questo secolo. 


Già nel 1989 l’ERT, potente lobby di industriali europei, che ha grande influenza presso
la UE, con il rapporto: "Istruzione e competenza in Europa" indicava  l'istruzione e la formazione come investimenti strategici vitali per la competitività europea e per  il futuro successo dell'impresa, ma purtroppo, l'insegnamento e la formazione continuavano ad essere considerati come un affare interno da Governi e organi decisionali. 

Nel 1992 la UE, con il trattato di Maastricht, inizia ad avere competenze in materia d'Istruzione. Nel 1993, la UE apre all'industria  proponendo incentivi fiscali e legali al fine di far investire la stessa nell'Istruzione. Nel 1995 L’ERT spinge gli industriali a "moltiplicare i partenariati tra scuole ed imprese" e sollecita il mondo politico denunciando che "nella gran parte d'Europa le scuole sono integrate in sistemi pubblici centralizzati che ne rallentano l’ evoluzione rendendole impermeabili alle domande di cambiamento provenienti dall'esterno" mentre “la responsabilità della formazione deve, in definitiva, essere assunta dall’industria”.   

L’istruzione deve essere considerata come un servizio reso al mondo economico.  I governi nazionali dovrebbero vedere l’istruzione  come un processo esteso dalla culla fino alla tomba. Istruzione significa apprendere, non ricevere un insegnamento [ERT, 1995]. 

Non abbiamo tempo da perdere. I governi diano all’educazione un’alta priorità, invitino l’industria al tavolo di discussione sulle materie educative, e rivoluzionino i metodi d’insegnamento con la tecnologia [ERT, 1997]. 

Si vuole cioè una scuola che costi molto meno e che prepari dei cittadini a livello di buoni consumatori in questa società tecnologica, cittadini che abbiano la preparazione tecnologica sufficiente per essere consumatori ma non tale da essere creatori di scienza e tecnologia. Questo almeno a livello di impegno di scuola pubblica. 

l'OCSE nel 1996  spiegava che l'apprendimento a vita non può fondarsi sulla presenza permanente di insegnanti ma deve essere assicurato da 'prestatori di servizi educativi' La tecnologia crea un mercato mondiale nel settore della formazione" e, mediante TV ed Internet, si possono produrre programmi da una parte e proporli in tutto il mondo (educazione a distanza o e-learning.   

L'insegnamento privato a distanza costituisce un servizio e come tale rientra nell'articolo 59 del Trattato CEE per il quale la Ue rilascerà una Tessera personale delle competenze, per scavalcare i titoli di studio dei singoli Paesi. Un grande mercato degli strumenti didattici offerti sul mercato dell'insegnamento permanente secondo le ordinarie leggi della domanda e dell'offerta. In tale mercato i corsi sono i prodotti e gli studenti sono i clienti. Un'università aperta, si dice, è un'impresa industriale e l'insegnamento superiore a distanza è una nuova industria. 

Nella Riforma Moratti l'attenzione si sposta dai luoghi di istruzione (scuola) e della formazione (centri, agenzie, servizi, imprese) alla certificazione delle competenze finali che si possono e si debbono maturare in un ambiente piuttosto che in un altro. Le tradizionali alternative tra scuola (statale) e centri della formazione professionale (regionali o non statali), tra scuola e impresa, tra scuola ed extra scuola perdono, perciò, la loro drammaticità  aprendo, al contrario, le prospettive di una solidarietà cooperativa tra tutte le esperienze e i luoghi formativi nei quali si possono raggiungere. 

Cose analoghe erano anche nella Riforma Berlinguer in cui si riaffermano tutti i desiderata dell’impresa: Un futuro in cui la scuola sarà interamente soppiantata dalle nuove modalità di auto-apprendimento in rete, un apprendimento non più insegnato ma semmai tutorato e prevalentemente on line.  Le scuole non statali devono essere considerate come una risorsa per la riqualificazione e il rilancio dell’intero sistema formativo pubblico .L’abolizione del valore legale del titolo di studio, un sistema di valutazione reale dei processi e dei prodotti. 

La situazione scolastica americana resta sempre il riferimento della nostra impresa. E’ lì che sono già avanti nella destrutturazione della scuola pubblica. E’ lì dove le eccellenze provengono da scuole private che costano anche 40 mila dollari l’anno, a fronte di una scuola pubblica (che serve 50 milioni di alunni) assolutamente dequalificata (insegnanti privi di titoli specifici, mancanza di essi, classi superaffollate, mancanza di fondi, diversità di curricoli da Stato a Stato, da scuola a scuola, discipline assenti dai curricoli, disomogeneità nel richiedere un esame finale, meno del 3% degli alunni con una preparazione che permetta di accedere all’Università.  

La prima legge che interviene sulla scuola italiana è quella che introduce l’Autonomia scolastica (Legge Bassanini) . La parola “autonomia” è apparentemente affascinante ma, nell’àmbito della scuola, è ambigua ed assume significati preoccupanti in quanto propedeutici alla paventata privatizzazione. Si estende il regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali ed equiparati delle amministrazioni pubbliche. I salari diventano variabili, si introducono criteri di flessibilità, sistemi di valutazione legati all’elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa di costi, rendimenti e risultati. L'efficienza e l'efficacia sono gli assi portanti dell'impresa-scuola. Guardiani di questo totem sono i dirigenti scolastici: da loro dipendono i risparmi, la proiezione esterna dell'istituto, la flessibilità ed ogni parametro che renda la scuola più efficace sul mercato. Peccato che differenti studi, certamente non noti ai pedagogisti di corte, mostrano l'inesistenza di correlazione tra autonomia ed efficacia. L'obiettivo politico della scelta autonomista è rendere la scuola funzionale al mercato. 

Si cambia il nome del Ministero della Pubblica Istruzione (MPI) in Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR). La sparizione di pubblico (Legge 300/99) come aggettivo qualificante l’istruzione è perfettamente congruente con altri provvedimenti che vengono presi in quegli anni: la parità scolastica tra scuola pubblica e privata (Legge 62/00), il comitato per valutare il prodotto educativo (Direttiva 307/97), l’introduzione di crediti e debiti (DM. 24/00). 

Occorre togliere alla scuola tutto quello che sa di scuola e sostituirlo con giochi, con l’alleggerimento del carico culturale, con strumenti multimediali, con divulgazioni, con testi essenziali, con il sostituire la storia con la cronaca, andando sulla strada del saper fare e con il coinvolgimento delle famiglie nel processo educativo. 

La scuola dell'autonomia che si realizza con il POF (Piano per l'Offerta Formativa) è basata su una persona che ha quasi tutto il potere per la parte didattica e di programmazione, il dirigente. La gestione democratica introdotta negli anni Settanta con i Decreti Delegati (Consiglio d'Istituto) è stata fatta fuori. Nell’attuale gestione aziendalista della scuola vi sono parole che non possono essere pronunciate (ordini, autorità, potere, ...) ma il fine è quello di ottenere dal lavoratore dipendente qualcosa che va oltre l'ubbidienza: l'adesione al potere dei dirigenti, la partecipazione emotiva all'impresa, l'autodisciplina, la motivazione, l'autocritica. Spariscono quindi i fondamentali conflitti che propone invece la democrazia e che evidenziano i problemi senza nasconderli. 

Secondo gli innovatori, in accordo con gli organismi internazionali che si occupano di istruzione a fini globalizzatori, i saperi non dovrebbero più essere al centro della scuola nuova. La scelta pedagogica consiste nel partire dagli interessi dei ragazzi, in funzione dei loro mezzi, condizioni di vita, desideri e destini professionali (così gli alunni abbienti con motivazioni culturali socio-familiari sceglieranno percorsi utili a garantire loro un futuro di autentica formazione, tutti gli altri saranno condannati precocemente a non averlo.

Il maggiore pericolo, insieme alla disuguaglianza, risiede nella mutilazione delle esistenze causata da una concezione riduttiva della cultura e dell'educazione concepita come una formazione di competenze con fini professionali.  

 
Riferimenti   http://www.retescuole.net/
              https://fisicamente.blog/category/scuola/problemi-della-scuola/

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