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Gomorra anche in Veneto. 132 aziende sotto usura


Criminalità I Casalesi colonizzano il Nordest. Attraverso una società di recupero credito, il clan ha imposto l’estorsione a centinaia di imprenditori, pestati brutalmente e finiti in rovina

VENERDI' 15 APRILE 2011 - Terranews

di Giorgio Mottola
In Veneto i casalesi hanno cominciato da “spazzini”. Negli anni ‘80 molti imprenditori spregiudicati scoprirono che era possibile abbattere i costi dello smaltimento dei rifiuti, rivolgendosi agli intermediari del clan casertano. Dai poli industriali di Venezia, Vicenza, Verona e Padova sono partiti decine di migliaia di camion carichi di scarti tossici verso la Campania. In pochi però si sono accorti che i casalesi, mentre avvelenavano la loro terra, contemporaneamente iniziavano una lenta e capillare colonizzazione del Veneto. A distanza di meno di trent’anni, il clan casertano è riuscito a esportare perfettamente anche in pianura padana i propri modelli di business e le proprie metodologie criminali. È quanto emerge da un’inchiesta della Dda di Venezia, che ieri ha portato all’arresto per estorsione di 29 persone, quasi tutti affiliati al cartello criminale dei casalesi. Nella loro rete erano finite 132 aziende.

Il raggio di azione erano le province di Venezia, Vicenza e soprattutto Padova, ma le dinamiche non erano molto differenti da quelle che si verificano in provincia di Caserta. Chi non pagava veniva pestato brutalmente. E se i conti non venivano saldati, le vittime erano costrette a trovare nuovi clienti e a cedere le proprie aziende. Il racket era gestito da un’organizzazione strutturata rigorosamente e armata. Si reggeva su una gerarchia precisa, con ruoli operativi ben distinti, coordinata da Mario Crisci, soprannominato il dottore. Gli uomini del clan agivano con una copertura legale: una società di recupero credito, la “Aspide”, che aveva la sede legale a Padova. È da qui che provenivano gli ordini per la riscossione e le spedizioni punitive nei confronti dei debitori insolventi.

I punti di forza della società erano due: la crisi economica, che costringeva gli imprenditori a un’ esigenza perenne di liquidità, e le modalità di azione tipicamente mafiose dei creditori. Alle vittime venivano applicati tassi usurai fino al 180 per cento annuo. Quasi banale, ma estremamente efficace, il metodo utilizzato dall’organizzazione criminale per gestire le grosse quantità di soldi derivanti dal racket. Il denaro arrivava attraverso semplici versamenti su carte di credito prepagate e ricaricabili, le poste pay. E attraverso lo stesso sistema, venivano divisi i profitti tra i componenti del clan.

Le dimensioni del fenomeno criminale destano profonda preoccupazione. «Sono state per anni penalizzate centinaia di imprese sfruttate fino all’osso, svuotate di tutto e distrutte. Gravissimi sono i danni per i lavoratori che in conseguenza di ciò non solo hanno perso l’occupazione, ma anche la liquidazione», è l’allarme che lancia la Cgil.

La provincia di Padova sembra quindi profilarsi come l’avamposto dei casalesi in Veneto. La scorsa settimana, è stato infatti arrestato Franco Caccaro, imprenditore titolare di una delle più grandi aziende nelle settore dei rifiuti, accusato di essere il prestanome di Cipriano Chianese, considerato da magistrati l’inventore delle ecomafie casertane.

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